antropologia
Cosa fanno gli antropologi?
Gli antropologi studiano le culture, e lo fanno perlopiù, oggi, andando a
soggiornare nei contesti che sono oggetto di studio. Non è sempre stato
così: nel tempo ci sono stati cambiamenti sia per quanto riguarda
l’oggetto degli studi antropologici, sia per quanto riguarda i metodi.
Fino a pochi decenni fa, gli antropologi si sono occupati dello studio dei popoli geograficamente lontani, che per molto tempo sono stati chiamati "selvaggi" o "primitivi" perché ritenuti i rappresentanti di fasi arcaiche della storia del genere umano. Erano popolazioni spesso fornite di una tecnologia assai semplice, ignare della scrittura e con "costumi" che si segnalavano per la loro notevole diversità rispetto a quelli degli europei. L’antropologia veniva, infatti, definita come studio dei popoli “senza” (storia, scrittura, ecc.). Da un lato c’è l’Occidente moderno, con una storia e l’uso della scrittura e dall’altro i popoli tradizionali senza storia e senza scrittura.
Con il tempo però a questi popoli se ne sono aggiunti altri, geograficamente più "vicini" all'Europa e con istituzioni più simili. In seguito, anche popoli con tradizioni scritte e praticanti culti monoteistici sono stati inclusi negli interessi degli antropologi, specialmente a partire dalla metà del Novecento.
Quando l'antropologia era una scienza agli albori, gli antropologi avevano raramente occasione di visitare di persona popoli di cui scrivevano: erano solitamente definiti “antropologi a tavolino”. Essi si avvalevano delle testimonianze di viaggiatori, esploratori, militari e funzionari coloniali.
Tra la fine dell'Ottocento e i primi anni del XX secolo, gli antropologi cominciarono a recarsi personalmente presso i popoli che volevano studiare inaugurando la pratica della ricerca sul campo: si prende coscienza del fatto che nessuna osservazione può essere neutra, per cui è scivoloso elaborare teorie a partire dalle osservazioni di altri. È perciò necessario andare da soli a raccogliere i propri dati.
Fino a pochi decenni fa, gli antropologi si sono occupati dello studio dei popoli geograficamente lontani, che per molto tempo sono stati chiamati "selvaggi" o "primitivi" perché ritenuti i rappresentanti di fasi arcaiche della storia del genere umano. Erano popolazioni spesso fornite di una tecnologia assai semplice, ignare della scrittura e con "costumi" che si segnalavano per la loro notevole diversità rispetto a quelli degli europei. L’antropologia veniva, infatti, definita come studio dei popoli “senza” (storia, scrittura, ecc.). Da un lato c’è l’Occidente moderno, con una storia e l’uso della scrittura e dall’altro i popoli tradizionali senza storia e senza scrittura.
Con il tempo però a questi popoli se ne sono aggiunti altri, geograficamente più "vicini" all'Europa e con istituzioni più simili. In seguito, anche popoli con tradizioni scritte e praticanti culti monoteistici sono stati inclusi negli interessi degli antropologi, specialmente a partire dalla metà del Novecento.
Quando l'antropologia era una scienza agli albori, gli antropologi avevano raramente occasione di visitare di persona popoli di cui scrivevano: erano solitamente definiti “antropologi a tavolino”. Essi si avvalevano delle testimonianze di viaggiatori, esploratori, militari e funzionari coloniali.
Tra la fine dell'Ottocento e i primi anni del XX secolo, gli antropologi cominciarono a recarsi personalmente presso i popoli che volevano studiare inaugurando la pratica della ricerca sul campo: si prende coscienza del fatto che nessuna osservazione può essere neutra, per cui è scivoloso elaborare teorie a partire dalle osservazioni di altri. È perciò necessario andare da soli a raccogliere i propri dati.
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