Sociologia
Emilie Durkheim
Sono dunque fenomeni sociali che non si possono spiegare ricorrendo all’analisi di molteplici casi singoli e psicologici ma sono il risultato delle interazioni umane e si possono spiegare solo a partire dalla società. In un clima di forte positivismo come quello ottocentesco, per Durkheim se la sociologia voleva considerarsi al pari delle altre scienze e studiare i suoi oggetti in modo oggettivo doveva adottare lo stesso metodo e lo stesso rigore scientifico. Si doveva adottare una visione olistica, ovvero analizzare i fenomeni non singolarmente ma come parti di un insieme, proprio come avviene per lo studio biologico di un organismo vivente. Inoltre i fatti sociali andavano spiegati casualmente attraverso un’osservazione scevra da tutti i pregiudizi e preconcetti soggettivi e considerandoli, come lui stesso affermava, “come se fossero cose”.
La sua opera “Il suicidio”, pubblicata nel 1897, rappresenta la prima ricerca sociale basata su un metodo empirico.
Il tema è abbastanza forte ma anche provocatorio. Il suicidio infatti è
un anche fenomeno sociale e proprio attraverso questo argomento
ritenuto nel senso comune cosi “personale” e “psicologico”, Durkheim
puntava a dimostrare l’importanza della sociologia dandone una
spiegazione sociale. L’autore francese inizialmente confutò tutte le
versioni del suo tempo riguardo le possibili cause extra-sociali del
suicidio. Raccogliendo, elaborando, comparando i dati statistici sui
suicidi fornitigli dalle autorità in diverse nazioni, giunge dopo vari tentativi alla rilevazione di una correlazione positiva con l’integrazione sociale. Sono l’integrazione sociale del singolo e la coesione interna della società i fattori sociali determinanti per il verificarsi dei suicidi. L’intuizione arrivò osservando come i praticanti della religione protestante
fossero più inclini al suicidio proprio perché le caratteristiche
peculiari del loro credo fornivano una minore integrazione e coesione
sociale ai loro praticanti.
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